Il giorno 25 dicembre non era un giorno come tutti gli altri. La giornata cominciava verso le 8 e mezza. Alzarsi dal letto era difficile, ma non troppo complicato, perché si saltava giù dal letto con la consapevolezza che la prima cosa da fare era quella di accendere il fuoco per poter riscaldare il “monolocale”. Le finestre erano quelle che erano, non avevano doppi vetri, non c’erano le persiane, di tende non ne parliamo forse era già troppo se c’erano le “imposte” (quelle interne).
La donna era la prima che si alzava dal letto: si dirigeva verso un angolino della stanza-casa, senza far troppo rumore, versava l’acqua rigorosamente fredda, nel catino si sciacquava velocemente e metteva subito addosso la maglia di lana che aveva cacciato la sera prima per le occasione importanti, la gonna e il solito paio di scarpe. L’uomo sentita la mancanza nella metà del letto, dopo essersi rivoltato un paio di volte decideva di alzarsi, si metteva il solito paio di pantaloni e scalzo con i piedi sul pavimento che “non esisteva” si dirigeva nel solito angolo dove era stata anche la moglie. Lui però doveva armarsi di specchio, sapone, pennello e lama perché doveva radersi…era un giorno di festa. Conclusa l’operazione barba, dava un bacio e un augurio alla consorte e indossato un maglione pungente di lana e un cappotto usciva per andare nella stanza adiacente a dar da mangiare ad altri componenti del nucleo familiare, composto da un asinello, una vacca, un paio di buoi e il solito maiale che aspettava già a prima mattina i “futuri” resti del pranzo che non sarebbero mai arrivati. Le galline si erano già alzate, il gallo era come sempre mattutino, e le aveva già guidate in giro per l’aia e ora si stava inoltrando per i campi vicini. Una volta terminate queste operazioni, l’uomo si organizzava per andare a prendere l’acqua e un po’ di legna: quella che c’era in casa non bastava per le operazioni “casalinghe”. I bambini dormivano ancora; oggi non dovevano andare a scuola e soprattutto non dovevano alzarsi presto come le altre volte a fare quei piccoli lavoretti di cui si era già occupato il padre.
L’albero di natale in casa non c’era, figuriamoci i regali: babbo natale non conosceva ancora quei luoghi, non aveva il navigatore satellitare, le renne non erano come quelle di oggi che gli permettevano di fare migliaia di km in pochi istanti e consegnare miliardi di regali in tutto il mondo in meno di “non so quanto tempo”. Purtroppo “i fortunati”, se così possiamo chiamarli, ricevevano regali di ogni genere in fantastiche scatole, però a volte capitava che “i fortunati” rimanevano delusi dal contenuto perché non avevano ottenuto quello che avevano chiesto nella letterina: le poste sbagliavano anche allora.
Tornando in campagna , i piccini che ancora dormivano, al loro risveglio potevano ritrovare pacchettini incartati con un po’di spago e con carta monocolore (marrone) contenenti una sciarpetta, un cappellino, dei calzettoni di lana, tutti lavorati nelle sere che precedevano il natale dalla madre che una volta messi a letto i pargoli si metteva all’opera al lume di candela per non dar troppo nell’occhio. Non dobbiamo poi dimenticare tutti i dolcini e i dolcetti che dovevano accompagnare la giornata del natale come le zeppole, struffoli, mostaccioli e tanti altri che non sto qui a nominare per non farvi venire l’acquolina in bocca. Comunque una volta tornato a casa e fatto rifornimento di acqua e di legna, il padre svegliava i bambini, non potevano stare tutto il giorno a letto perché dovevano vestirsi e prepararsi per andare alla messa in paese.
La madre nel frattempo era indaffarata in opere culinarie; qualcosa era già stato preparato, tipo il pollo imbottito, qualcosa era avanzato dalla sera precedente, e qualcosa era da preparare come la pasta fatta a mano, come i fusilli che venivano poi conditi con il sugo del pollo imbottito. C’era da organizzare il tavolo e le seggiole, da prendere il vino(quello di annata). Il vino che era bevibile, d’altronde non è che il governo passasse il vino, il governo non passava niente, anzi qualche volta passava di persona fisica (ufficiale esattoriale) per riscuotere ogni tanto qualche denaro o qualche bene tangibile (farina, vino, o animali) per qualche tassa non pagata.
Finite le faccendine di casa, prima di mezzogiorno, tutta la famiglia era pronta per andare in chiesa e una volta là cominciava il rituale degli auguri agli amici e ai compaesani, anche se alla fine erano tutti amici. L’aria che si respirava era magica ma nessuno, la sera precedente, aveva sparso per strada polverine “magiche”, e li potevi vedere tutti un po’ inebetiti, senza un soldo in tasca ma allegri e contenti. Finita la funzione tutti tornavano a casa, la donna attizzava il fuoco, metteva su l’acqua per cuocere la pasta e in meno che non si dica tutti erano pronti per sedersi a tavola. Sulla tavola imbandita, oggi, non mancava una candela accesa e mai come in quel giorno, anzi no, forse anche a capodanno e a pasqua, era piena di vivande e cibarie. Come se non fossero bastate le preghiere precedenti, se ne faceva un’altra prima di attaccare il pasto nel piatto ma stavolta in italiano, il latino era roba da preti. Terminato il pranzo, tutti notavano che era rimasto ancora un po’ di spazio nel proprio pancino e nessuno poteva dire: ah sono sazio. Sulla tavola però c’era rimasto ben poco, anzi nulla e per il maiale erano tempi duri.
Sparecchiata la tavola il caminetto con il suo fuocherello chiamava tutti a sé: i bambini scartavano il loro regalino, il padre che dopo esser uscito ad augurar il natale per una seconda volta gli “altri”componenti della famiglia (asino,buoi e compagnia) era rientrato e ora si era accomodato su una sedia per fumare la pipa che gli era stata regalata dal padre. L’unica che mancava all’appello era la donna o meglio, la madre di famiglia, che doveva finire di mettere a posto la cucina: le rimanevano quei quattro piatti, quei quattro bicchieri e qualche pentola.
Buon Natale dei Vecchi tempi.
alende “di una volta” long