giovedì 17 maggio 2012

alla ricerca dell'asparago sperduto

Ogni tanto la brezza che tira sull'isola richiama la mia attenzione. Una volta finita la raccolta delle palme di cocco bello cooocco beeello, raccolta che avviene per passare un po' il tempo, mi siedo su una sedia a forma di pietra o viceversa, ed osservo il panorama che dà sulla scogliera di fronte. Il mare di solito non è agitato, è solo un po' rumoroso e spumeggiante, con dei bei colori vivaci, le onde sono alte ma non troppo per essere cavalcate con una tavolozza di un bravo pittore. C'è un bel venticello, l'aria che tira qui mi ricorda un po' quella delle tempeste primaverili che ti permettono di notare il risveglio della natura. Qui questo tipo di risveglio non si può notare perché si sta beati su un'isola dove 364 giorni su 365 splende il sole..forse..(è che ultimamente ho perso il conto dei giorni e non so cos'è oggi).


Quest'aria così frizzante ed oligominerale mi rimanda indietro nel tempo quando nella mia terraferma le giornate si allungavano, le notti si accorciavano e l'ora legale andava a riposarsi un po' per riprendere poi nel periodo autunnale. Ed è proprio in questo periodo in cui mi inoltravo, anzi, credevo di inoltrarmi in luoghi impervi della mia terra natìa in cerca di prelibatezze "naturali" da cucinare e servirli a tavola. L'attesa della stagione del risveglio, come tutti gli anni, corrispondeva per me con la ricerca dei famosi asparagi sperduti. Qui purtroppo non ne trovo e penso che non ne troverò mai: forse il clima non è di quelli più adatti eppoi non ho manco le uova...niente uova, niente frittate con gli asparagi. A pensarci bene, forse non è manco colpa del clima perché sull'isola c'è una bella umidità, più che altro manca la cosa essenziale: la signora, la madre dell'asparago, quella che io chiamavo nel mio dialetto l'asparagina.


Quando si andava alla ricerca dei suoi figlioletti, la signora la riconoscevi subito perché era tutta bella spinosa per non farsi strappare i suoi pargoli: le sue spine non erano come quelle di una rosa, non ti graffiavano, però ti davano fastidio anche nei giorni successivi la raccolta . Era difficile che ti lasciasse i segni sulle mani, dovevi trattarla proprio male. Aveva un colore verde, un bel verde intenso e si ergeva pure da terra quando la terra, scusate il gioco di parole, le dava la forza per farlo. In larghezza non si spandeva più di tanto perché doveva comunque competere con le altre erbe o piante che aveva vicino anche se sapeva come farsi spazio. A volte la ritrovavi nei posti più tranquilli, in pianura oppure in quelli un po' meno accessibili (tra i rovi) ed infine anche in quelli più "comodi" ad esempio all'ombra di una pianta. Poteva ospitare qualche ragnetto che giocava a costruire le sue trappoline luccicanti di rugiada al mattino ma fatali di giorno per le sue prede, oppure sentire i passi delle formiche che si arrampicavano su di essa per avvistare terre ancora da conquistare (non prendetemi troppo sul serio).


Raccogliere gli asparagi era una vera e propria impresa perché devi essere concentrato, bisogna saperli scovare, devi convincerli a venire con te anche quando li porti nella mano. Difatti da piccolo capitava spesso che nel percorso che facevo, uno di loro, appena raccolto decideva di non voler partecipare al banchetto e si suicidava decapitandosi con le erbe vicine. Altri, invece, erano molto bravi a nascondersi, mimetizzandosi talmente tanto che se li perdevi di vista era molto difficile ritrovarli nonostante fossero immobili. Poi c'erano quelli che si aggrappavano alla terra madre e non volevano allontanarsi da quest'ultima. 


Andare alla ricerca di asparagi era davvero piacevole: intorno a te creavi il tuo silenzio, diventavi parte della natura che ti circondava. Le orecchie erano dei potenti radar per poter captare l'avvicinamento di alieni e di animali striscianti non identificati, la vista metteva a fuoco tutto quello che poteva portarti all'asparago più vicino, il tatto, mediante le manine era quello che recepito il messaggio doveva eseguire l'ordine del cervello e rischiare di più. I sensi che sicuramente traevano giovamento da questa ricerca erano l'olfatto che andava alla ricerca dei profumi che venivano rilasciati dai fiori e il gusto che di tanto in tanto assaporava qualche finocchietto selvatico fresco, quello che, alla fine ti lasciava un bel sapore in bocca nell'attesa di assaporare il frutto della ricerca "avventurosa".

domenica 4 marzo 2012

caro amico ti scrivo

Non ero grande. Allora ero ancora bambino, un bambino che ascoltava la musica simpatica. La mia prima sua canzone che ho ascoltato mi metteva in guardia dal lupo. Già le storielle raccontate dalle persone che mi stavano accanto mi avevano dato modo di capire che non dovevo fidarmi del lupo…oh!quello s’era mangiato la nonna, cappuccetto rosso e i cacciatori. Ma quanto caspita ero grosso sto’lupo? Poi mia madre mi disse chi cantava quest’attenti al lupo!e diciamo che lui è stato uno dei primi artisti a cui mi sono affezionato. Il particolare che lo rendeva particolare non erano né la barba, né gli occhialini e né i cappellini strani che usava indossare ma erano gli orecchini. Fino a quel momento credevo che l’orecchino, anzi gli orecchini li potessero portare solo le donne e la cosa mi confondeva non poco. Inoltre aveva una voce particolare e a volte parlava come un bambino, cioè non lo capivi: ad ogni ritornello io e mio fratello inventavamo le parole perché non capivamo bene quello che diceva. Forse non lo capirei neanche ora. A quell’età mi piaceva moltissimo il ritmo “simpatico”.

Poi sono cresciuto un pochino e devo dire che ha cominciato a martellarmi quel 4 marzo 1943. Quel violino malinconico che accompagna i suoi versi parlanti di vita e di morte nello stesso istante, che entrano in testa ma ti rimangono nel cuore.

Come m’è rimasta nel cuore quel “Com’è profondo il mare”. Il bello di un cantautore è che sa sempre trovare le parole esatte che ti fanno immedesimare in una situazione che tu hai vissuto, che descrivono per filo e per segno un pensiero, ti toglie il fiato rievocando un’emozione passata. Se è bravo può persino farti vivere un qualcosa che non hai ancora vissuto perché solo lui sa toccare “certe” note, quelle che ognuno di noi, amanti o meno della musica ha sentito almeno una volta nella vita sotto forma di brividi (compresi quelli sulla schiena).

Due parole le devo spendere per quel Disperato erotico stomp che mi è sempre piaciuta per la sua sfrontatezza e “birichinaggine”: oggigiorno è difficile trovare in giro uno che dice tutte quelle cose in una canzone. Il testo è simpatico, ironico, istrionico e reale.


Ciao Lucio


martedì 3 gennaio 2012

i falò d'inverno

Ultimamente il colore che mi piace di più è l'arancione. Non chiedetemi il perché, perché tanto ve lo dirò io. L’arancione a dire il vero mi è sempre piaciuto, da quando ero piccolo, da quando utilizzavo i colori a spirito, quelli che ancora non venivano sniffati dai bambini. Può darsi che io sono così e mi ritrovo qui su quest’isola perché da piccolo li sniffavo e non me ne sono manco accorto, fatto sta che secondo me sia capitato un po’ a tutti infilarsi un colore a spirito su per il naso come faceva Homer Simpson. Dite la verità! Non mentite con voi stessi perché poi sentirete la vocina della coscienza che si lamenta, quella che proviene dal pozzo profondo che è dentro di voi. Poi cominciano a spuntare il diavoletto e l’angioletto che litigano sulla spalla e non vi faranno dormire.

Tornando di nuovo all’arancione: bene secondo me questo colore è legato in qualche modo alla mia infanzia. Stasera mentre stavo sulla spiaggia e mi accingevo ad accendere il mio quotidiano falò (da quando sono sull’isola accendo solo falò) al buio mi sono accorto dell’importanza dell’arancione. Di solito di questi tempi non stavo seduto su una spiaggia a fare falò ma davanti ad un caminetto con il fuoco acceso. Il caminetto non era grandissimo, era fatto in mattoni, mattoni smaltati, i quali non so per quale motivo erano di un colore rosso bordeaux lucido, tipo smalto. Logicamente quelli più vicini al fuoco erano neri. Arrivata una certa ora, le donne di casa, organizzatesi per bene con legna e arnesi vari per domare il fuoco prendevano le sedie, spegnevano le luci, tutte le luci di casa, richiamavano l’attenzione mia e di mio fratello davanti a un televisore chiamato fuoco e ci facevano sedere a semicerchio davanti al caminetto. La disposizione non me la chiedete perché tanto non me la ricordo.

Non so come mai ma in quei momenti si creavano atmosfere surreali dove ogni scoppiettio, ogni rumore o suono proveniente dall’angolo caloroso avesse un significato: c’era sempre un perché a tutto a quello che succedeva. Se la fiamma si ravvivava facendo rumori strani voleva dire che qualcuno o ci stava pensando o che ci stava nominando da chissà quale angolo sperduto del mondo o dell’ universo… “Tu!!!Tu che sei diverso! Almeno tu nell’universo!”

Nel frattempo io cominciavo a crederci e pensavo a chissà quale misterioso e arcano messaggio ti stavano mandando chissà chi-da chissà dove-chissà cosa caspiteracciderbolina volevano dirti. Tutto questo mentre avevi anche un po’ di panico. Inoltre tutto questo lo facevi senza distogliere lo sguardo fisso da quel colore che ora aveva sfumature sul giallo ed ora sull’arancione vivo. Quest’ultimo era talmente vivo che vedevi messaggi pure nei carboni ardenti nonostante non sapevi come dovevi decifrarli.

L’atmosfera, il più delle volte, era creata anche da rumori esterni che in qualche modo spesso contribuivano a creare attimi di suspense. Tra gli attori che potevano concorrere per l’oscar come “migliore attore non protagonista” sicuramente si poteva annoverare Eolo , in quanto questi era sempre tempestivo nei suoi interventi dato che sapeva sempre quale fosse il momento giusto per far cadere qualche tegola, o sbattere qualche finestra o porta che trovava aperta, o improvvisava rompendo qualche vetro, facendo il pazzerello.

Una volta che ti eri seduto davanti al caminetto non potevi più alzarti perché non avevi neanche il coraggio di fare un metro: se dovevi andare in bagno dovevi andare come fanno le donne che vanno sempre in due. Per forza di cose dovevo aspettare quella mezzoretta dopo il termine della trasmissione condotta da mia madre e mia nonna, in cui grazie alla luce artificiale, tutto tornava come prima. Voi vi chiederete cosa succedeva in quelle trasmissioni. Bene, mia madre mia nonna si coalizzavano e per mantenere calmi calmini i fratellini raccontavano con dovizia di particolari e riferimenti storie fantastiche di fantasmi, lupi mannari e cose simili che ti facevano rivivere quei momenti come se fossi stato là sul posto.

Eppoi c’era lui, il fuoco che con il buio,illuminava la stanza, con quel suo colore arancione prendeva il posto del bianco neon della cucina, e giocava con le ombre, ora dei miei familiari, ora del lampadario o di qualche altro oggetto: le allungava, le accorciava a seconda di quanto mia madre o mia nonna alimentavano il fuoco con la legna o con i loro fatti che raccontavano a me e mio fratello.

Ora davanti a questo ennesimo falò mi sono ricordato perché mi piace il color arancione e perché ogni volta che vedo quella palla di fuoco che ogni giorno si va a fare il bagno nel mare mi lascia sempre a bocca aperta.

Alende “orange” long


p.s. se non sbaglio homer simpson si infilava su per il naso i colori a cera ma non ne sono sicuro quindi potete correggermi, ancora non sono perfetto.